Discorsi Divini
1 Aprile 1963 – La vera natura di Rāma
1 Aprile 1963
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
La vera natura di Rāma
[1] Il Dharma non è questione di tempo e di spazio da modificare ed adeguare secondo i bisogni e le pressioni del momento. Esso include un numero di Principi fondamentali che devono guidare l’umanità nel suo progresso verso l’armonia interiore e la pace esteriore. Quando l’uomo devia dal Dharma, va incontro ad una sofferenza più grande persino della schiavitù fisica. In questo momento c’è il terrore di un’invasione [da parte cinese] e di essere soggiogati dal nemico se non si è sufficientemente vigili ed uniti. Ma la perdita del Dharma è una calamità ancor maggiore, poiché che valore ha l’esistenza umana se l’uomo non riesce ad essere all’altezza dei talenti di cui è dotato? Questi Principi sono detti Sanātana, eterni, perché le loro origini non recano data ed il loro autore non è identificabile: sono rivelazioni fatte agli intelletti purificati di saggi equanimi. Essi sono fondamentali ed eterni, non sono bizzarrie temporanee. L’India fu incrollabile ed intrepida contro l’assalto di attitudini comportamentali createsi in altri paesi per adeguarsi alle necessità di società circoscritte, proprio perché aderì al Dharma prescritto per tutti gli uomini di tutti i tempi. Anche i regnanti indiani rispettarono il rigore del Dharma e seguirono i consigli dei depositari e degli interpreti del Dharma, coloro che si erano purificati nel crogiolo delle austerità e delle penitenze. Essi riconobbero il Governante Supremo e cercarono la Sua guida con le preghiere e le austerità, ben sapendo che il loro Signore era il Residente interiore di tutti gli esseri e l’Eterno Testimone; sapevano anche che Egli era pieno di comprensione e solidarietà non solo con il re, ma anche con il più umile dei sudditi. Pertanto i governanti di questo Paese furono esortati ad occuparsi del benessere ed a prendersi cura delle pene di ogni singolo cittadino dello Stato.
[2] Il Dharma è il codice di condotta che promuove gli ideali da seguire in ogni stadio della vita umana: quello di studente, capofamiglia, padrone, servitore, aspirante spirituale e rinunciante, ecc. Quando questo codice è distorto e l’uomo compromette la sua missione terrena, dimenticando l’elevato proposito per il quale è nato, il Signore s’incarna e lo conduce lungo il sentiero giusto, vale a dire che Egli viene come uomo per ripristinare i principi e per ristabilire la pratica del Dharma. Nella Gītā questo è definito ‘Dharma-Samstāpanā’, ripristinare il regno del Dharma. Fra le Forme che ha assunto il Signore non ce n’è una superiore od una inferiore, sebbene i pandit possano argomentare su quale sia la migliore e la più grande, per esempio Rāma o Krishna! Questo non è altro che un tipo di ginnastica intellettuale che dà ai pandit l’intensa gioia di un incontro di pugilato! Virabhadra Shāstri ha posto proprio ora un problema analogo. Vi dico subito che la Divinità è un’Entità indivisibile qualunque sia la forma che assume, qui o altrove.
[3] Rāma apparve in una ‘forma umana illusoria’, ma si attenne rigorosamente al Dharma nella vita quotidiana, fin dalla Sua infanzia. Egli è la personificazione del Dharma; in lui non c’è traccia di vizio o iniquità. La Sua Natura Divina è rivelata dal temperamento calmo e dal sentimento di compassione. Se mediterete su di Lui, sarete pervasi da sentimenti d’amore verso tutte le creature. Riflettete sulla Sua storia e tutte le agitazioni della mente si placheranno perfettamente. Quando la demone Tatakī doveva essere uccisa, Rāma discusse, esitò e poi desistette, finché il saggio Vishvāmitra lo convinse che doveva essere liberata da una maledizione per mezzo di una Sua freccia. Tale era la Sua compassione. Rāma non provocava mai nessuno solo per avere una scusa conveniente per distruggerlo, al contrario offriva all’avversario ogni opportunità d’essere salvato. Portò il messaggio del Dharma al popolo delle scimmie ed ai demoni, come pure ai saggi quali Jabali. Egli accettò l’omaggio di Vibhīshana senza esitazione e proclamò che era pronto ad accettare persino Rāvana, se solo si fosse pentito della sua iniquità. «Satyam vāda Dharmam chara» – «Dite la verità, seguite il Dharma».
Rāma si attenne alla verità nonostante le molteplici tentazioni e non deviò mai dal sentiero. Ad esempio, come sapete, dovette vivere per quattordici anni nella foresta per obbedire all’ordine di Suo padre. Durante questo periodo non entrò mai in un villaggio o in una città. Egli evitò le città di Kishkindha e Lankā anche quando avvennero le incoronazioni di Sugrīva e Vibhīshana. Quest’ultimo lo supplicò caldamente dicendo che mancavano solo pochi giorni per concludere i quattordici anni di esilio, ma Rāma mandò Lakshmana al Suo posto: Egli non vacillò mai né trasgredì. Quello era il rigore con cui mantenne il voto.
[4] Rāma è Dharmasvarūpam, l’Incarnazione della Rettitudine, mentre Krishna è Premasvarūpam, l’Incarnazione dell’Amore. Rāma era sempre consapevole degli obblighi del Dharma. Mentre Suo padre, il re Dasharatha, rincorreva il cocchio [che portava Rāma verso l’esilio] affranto dal dolore ed urlava “Fermati, Fermati!” – appellandosi al ministro Sumantra di fermare il cocchio, Rāma disse a quest’ultimo di non farlo ed aggiunse: “Se ti rimprovera, digli che non hai sentito.” Sumantra si trovò in un bel dilemma. Come poteva dire una cosa non vera? Ma Rāma spiegò: “L’ordine di fermare il cocchio proviene da un padre affranto dal dolore, mentre l’ordine di portarmi nella foresta venne dal re, di cui tu sei il ministro. Non devi prestare orecchio ai deliri di un uomo che ha perso la ragione per il dolore; tu devi ubbidire soltanto agli ordini del re!” Ancor prima dell’avvento dell’Avatār, il palcoscenico è allestito nei minimi dettagli: Kaikeyī è pronta a richiedere i due doni che le erano stati promessi; Dasharatha è pronto a ricevere la maledizione dell’asceta che comporta la morte di dolore per la separazione dal figlio; l’esercito delle scimmie è pronto ad adempiere il proposito divino; Sītā è pronta a sorgere dalla terra per determinare la caduta del male. Come una ghirlanda è fatta con fiori di diverse varietà, di molti colori e profumi, così la ghirlanda della storia divina è costituita da molteplici eventi per fornire la stupenda trama del Suo disegno. Alcuni asseriscono che Rāma abbia mostrato all’uomo come soffrire. Se un re organizza una commedia nel suo palazzo e si diverte ad interpretare il ruolo di un mendicante molto realisticamente, potete affermare che soffra le miserie del mendicante? Rāma è Ānanda (Beatitudine), Ānanda è Rāma. Se non è dolce, come può essere zucchero? Se Rāma soffre, non può essere Rāma. Una palla di ferro non può ustionare la pelle, ma rende tela rossa di calore ed allora brucerà. Quello è solo un ruolo che ha assunto; quando il calore si riduce, la palla torna ad essere fredda come sempre.
[5] Il Nome di Rāma vi salverà, se almeno avete devozione per il padre e per la madre come l’aveva Rāma. In caso contrario, la ripetizione del Nome di Dio sarà solo un movimento delle labbra. Meditate sulla forma di Rāma e sulla Sua vera natura, quando recitate o scrivete il Suo nome. Questo eserciterà la vostra mente e la renderà forte e sana in senso spirituale. In questa giornata dedicata all’anniversario della nascita di Rāma, fate in modo che questa Incarnazione del Dharma diventi il vostro Ātmarāma, il Sé che conferisce gioia eterna. Questo è il Mio consiglio e la Mia benedizione.
Rajamundry, 01.04.1963
da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications