[1] Il devoto che vi ha parlato prima, lasciate che ve lo dica, ha rinnegato Dio per ben 25 anni, e solo da cinque anni è cambiato dopo avermi incontrato. Molte persone non hanno avuto nessuna esperienza che li potesse trasformare, quindi non devono essere criticate per la loro mancanza di fede. Seshagiri Rao biasimava e rimproverava i suoi figli perché venivano a Puttaparti, e lui stesso per tanto tempo si è rifiutato di venire! Un giorno, a Bangalore, partecipai ad una cerimonia che si teneva in una casa di fronte alla sua. Durante i bhajan egli attraversò la strada titubante e gettò un’occhiata nella sala, a quel punto andai verso di lui, lo chiamai e lo invitai a sedersi vicino a Me; gli dissi di venire a Puttaparti per esaminare e fare esperienza. Dal quel momento Seshagiri Rao è sempre rimasto con Me, e sono passati ormai 18 anni da quando è venuto qui la prima volta. Questa è la ragione per cui sono venuto a piantare i semi della fede nella religione e in Dio. Forse avrete sentito alcuni asserire che sono diventato Sai Baba dopo essere stato punto da uno scorpione. Bene, sfido chiunque ad essere punto da uno scorpione e poi diventare Sai Baba! Lo scorpione non c’entra proprio nulla! Di fatto, non ci fu alcuno scorpione. Io sono disceso in risposta alle preghiere dei saggi, dei santi e degli aspiranti spirituali per ripristinare il Dharma, la Legge Morale.
[2] Quando ci sono avvisaglie di disordini, i poliziotti accorrono e se la folla diventa ingovernabile sul posto si precipita anche l’ispettore; ma se la situazione diventa violenta, arriverà il sovrintendente della polizia per placare i disordini. Se però il momento dovesse farsi veramente critico e pericoloso, l’Ispettore capo in persona prenderà in pugno l’intera situazione. Allo stesso modo i saggi, i santi, gli yogi e le personalità divine si sforzano e collaborano insieme per ristabilire il Dharma e per spianare la via affinché il mondo consegua la pace.
[3] Oggi l’errore più grosso è la mancanza d’indagine sulla natura del Sé; tale carenza è la causa fondamentale di tutta l’irrequietezza e l’agitazione. Chi desidera ardentemente conoscere la verità di sé stesso, anche se non crede in Dio, non prenderà la strada sbagliata. I vasi sono tutti di terracotta, i gioielli sono d’oro e gli indumenti di filo. Anche se si vede solo la diversità, di fatto c’è unità; la sostanza fondamentale è una ed indivisibile ed è il Brahman (la Realtà Suprema), è l’Ātma, il Sé che è la vostra stessa sostanza di base. Questa indagine sul Sé è descritta molto bene nelle Upanishad. Come la corrente di un fiume è delimitata dagli argini ed il flusso delle acque procede verso il mare, così le Upanishad regolano e limitano i sensi, la mente e l’intelletto e aiutano l’individuo a raggiungere il mare ed a fondere la sua individualità nell’Assoluto. Studiate le Upanishad con l’intenzione di comportarvi in conformità, e mettete in pratica i loro consigli. Scrutare una mappa o leggere una guida turistica non potranno mai darvi l’emozione di una visita vera e neppure una frazione della gioia e della conoscenza di un vero viaggio. Le Upanishad e la Bhagavad Gītā sono solo mappe e libri guida, ricordatelo.
[4] Un giorno un contadino si sedette fra un gruppo di devoti per ascoltare un grande studioso che esponeva la Gītā. Tutti erano meravigliati dai dotti commenti e dalla sapiente disquisizione su ogni singola parola e frase. Sebbene quella esposizione fosse superiore alle sue capacità, sembrava che il paesano seguisse molto attentamente in quanto era sempre in lacrime! Alla fine, quando l’oratore gli domandò perché piangesse, l’uomo sorprese tutti per la sincerità della sua devozione. Egli disse che piangeva per la condizione in cui era venuto a trovarsi il Signore che doveva sedersi davanti, al posto dell’auriga, e volgere il collo all’indietro per convincere l’ottuso Arjuna! “Quanto male deve aver provato al collo!” – disse l’uomo in lacrime. Quella era vera devozione: un passaporto sicuro per conseguire il successo spirituale. Egli si era identificato con i personaggi dell’episodio e, per lui, quella scena aveva preso vita. In realtà non avreste neanche bisogno di leggere la Gītā o le Upanishad; se vi rivolgete al Signore che dimora nei vostri cuori, ascolterete una Gītā creata apposta per voi. Egli è lì, ed è il vostro Auriga personale. Domandategli e Lui risponderà. Quando vi sedete in un posto tranquillo per meditare, concentrate la mente sulla Sua Forma e ripetete il Suo Nome. Se recitate il Nome di Dio senza avere la relativa immagine nella mente, chi vi risponderà? Non potrete certo parlare con voi stessi tutto il tempo! La Forma vi ascolterà e vi risponderà.
[5] Tutte le agitazioni dovranno cessare un giorno, ed il solo metodo perché ciò accada è la meditazione sulla Forma e la ripetizione del sacro Nome. Il segreto è questo: voi dovete ‘essere’, ma non come nel sonno nel quale solo nel profondo di voi stessi siete ‘consapevoli di essere’; infatti il sonno è avvolto dall’illusione. Risvegliatevi dunque da quell’illusione ed immergetevi nel sonno del samādhi. La ripetizione del Nome e la meditazione sono strumenti con cui potete indurre persino la grazia di Dio a concretizzarsi nel Nome e nella Forma che più anelate. Il Signore assume la Forma ed il Nome da voi prescelti perché in realtà siete voi ad idearlo così; perciò non cambiate Nome e Forma, ma attenetevi strettamente a quelli da voi scelti, a prescindere dalle difficoltà o dagli ostacoli.
[6] Non scoraggiatevi se all’inizio non riuscirete a concentrarvi a lungo. Quando s’impara ad andare in bicicletta non si riesce a mantenere subito l’equilibrio; generalmente si va in un luogo aperto, poi si cade ora da un lato ora dall’altro, oppure la bicicletta vi cade addirittura addosso. Prima di riuscire a condurla bene dovrete fare molti tentativi. Poi alla fine, automaticamente, sarete capaci di mantenere l’equilibrio e potrete percorrere vie strette e vicoli senza aver più bisogno di uno spazio aperto e potrete passare anche attraverso le strade più affollate o trafficate. Parimenti, la pratica della disciplina spirituale vi fornirà la concentrazione necessaria che vi sosterrà nelle circostanze più difficili. Non abbiate l’impressione che Io vada in collera se non scegliete Me come Forma su cui meditare, questo non mi tocca minimamente; siete perfettamente liberi di scegliere il Nome e la Forma che più vi ispirano. Quando meditate, la vostra mente sovente rincorre qualcos’altro e prende un’altra via. Dovete allora bloccare quella scappatoia per mezzo del Nome e della Forma e controllare che il flusso dei vostri pensieri verso Dio non s’interrompa. Se accadesse di nuovo, usate subito il Nome e la Forma e non permettete alla mente di oltrepassare i due argini gemelli: da un lato il Nome e dall’altro la Forma; in tal modo la mente non andrà a vagabondare da altre parti. Quando vi sedete per meditare, recitate innanzi tutto qualche inno di lode a Dio, in modo che i pensieri si ricompongano. Poi mentre recitate il Nome, dipingete mentalmente la Forma che quel Nome rappresenta. Se la vostra mente si distrae dalla ripetizione del Nome, riportatela sull’immagine della Forma, e quando si distrae dalla Forma concentratela nuovamente sul Nome. Se tratterete la vostra mente in questo modo, essa verrà facilmente addomesticata. L’immagine da voi creata si trasformerà in un ritratto che desta emozione, caro al cuore e saldo nella memoria. Gradualmente diverrà la Forma da voi agognata, ed il Signore assumerà quella stessa Forma per esaudire il vostro desiderio. Questa disciplina è detta ‘meditazione sul Nome e sulla Forma del Signore’; vi consiglio di intraprenderla in quanto, per i principianti, è la migliore.
[7] Nel giro di pochi giorni vi abituerete a questa pratica spirituale e gusterete la gioia della concentrazione. Alla fine della meditazione, che dapprima sarà breve e poi sempre più lunga, contemplate la pace e l’appagamento che avete nel cuore, ovvero rievocate, riportate alla memoria la gioia provata. Ciò accrescerà la vostra fede ed il vostro zelo. Dopo aver terminato la meditazione non alzatevi immediatamente per riprendere le varie attività. Sciogliete lentamente le gambe, e poi riprendete i vostri impegni. Gustate i frutti della meditazione ed imparate ad apprezzarli: intendo dire proprio questo quando vi invito a riflettere su ciò che avete sperimentato nella meditazione. Prestate attenzione anche alla vostra salute fisica e alle necessità fisiologiche: alla macchina bisogna dare la benzina necessaria, altrimenti potrebbe girarvi la testa ed offuscarsi la vista per la debolezza. Come possono stabilizzarsi i pensieri su Dio se l’organismo è deperito? Mentre lo accudite, non dimenticatevi però dello scopo del corpo. In un rullo compressore stradale si mette olio, nafta ed altri combustibili. Per quale motivo viene mantenuto in buone condizioni? Per riparare la strada! Ricordate dunque che vi siete incarnati per portare a termine questo ciclo di nascite e morti. Utilizzate quindi il corpo come strumento per adempiere questo fine.
[8] Come l’uccello cerca un albero su cui appollaiarsi per trovare riposo dopo i suoi alti e lunghi voli, così anche il più ricco e potente fra gli uomini cerca la pace. Essa può essere trovata in un solo posto: nella realtà interiore. I sensi vi trascineranno in un pantano che vi farà sprofondare sempre più in un’alternanza di gioie e dolori, causandovi così grande scontento. Solo la contemplazione dell’unità può rimuovere la paura, la rivalità, l’invidia, l’avidità ed il desiderio, tutti sentimenti che provocano insoddisfazione. Ogni altra strada potrà darvi solo uno pseudo-appagamento, ed arriverà un giorno in cui getterete via tutti questi giochi ed implorerete: “Signore! Donami pace imperturbabile.” Il bandito Vālmīki pregò Dio proprio così. Un giorno anche l’ateo più inveterato pregherà per ottenere pace e serenità.
[9] La gente si tiene stretti i vasi d’ottone pensando che siano d’oro, ma poi è obbligata a lucidarli per farli risplendere. Un bel giorno però anche costoro si disgusteranno di questo perpetuo lucidare e sfregare e pregheranno: “Liberami da tutto questo lavorio, liberami dalla nascita, dalla sofferenza e dall’angoscia.” La vita è breve, il tempo vola e la vostra disciplina spirituale procede a passo di tartaruga. Quando vi deciderete ad avanzare un po’ più celermente? È come rispondere ad un questionario d’esame. Se prendete solo cinque o sei punti, l’esaminatore annullerà anche quelli pensando: “A cosa serve un punteggio così basso? Non lo condurrà da nessuna parte!” Se invece prendete un voto che si avvicina al punteggio di promozione, allora la Grazia divina vi donerà quel poco che vi manca per passare, a condizione che siate stati degli studenti diligenti e beneducati.
[10] Impegnatevi in buone azioni, buone attività e buoni pensieri, concentrate la vostra attenzione sull’obiettivo. Voi non avete ancora compreso il segreto di questo Avvento; tuttavia siete molto fortunati, più di tanti altri. Yashodhā realizzò che Krishna era il Signore solo quando la corda con cui voleva legarlo, per quanto lunga fosse, si dimostrò sempre troppo corta. Allo stesso modo, anche voi vi renderete conto che qualsiasi descrizione della Mia Gloria Divina sarà insufficiente – troppo corta – a rappresentare la grandezza della Realtà, ed allora vi convincerete. Nel frattempo, se studiate i testi sacri e comprendete le caratteristiche dell’Avatār del Signore, potrete scorgere un barlume della Mia Verità.
[11] Non serve a nulla polemizzare e discutere fra di voi: esaminate e fate esperienza, così conoscerete la verità. Non declamate prima di essere convinti; mantenete il silenzio finché siete indecisi o impegnati a vagliare. Tuttavia, prima di provare a valutare questo mistero dovete liberarvi di tutto il male che è in voi e, quando la fede albeggerà, proteggetela con la disciplina e l’autocontrollo, in modo che il tenero virgulto possa essere salvaguardato dalle capre e dal bestiame, ossia dall’eterogenea massa di cinici e non credenti. Quando la vostra fede crescerà e diverrà un grande albero, allora quello stesso bestiame potrà riposare sotto la sua fresca ombra.
Riva del fiume Chitrāvatī, Puttaparti, 23.02.1958